Lo tsunami dei nativi digitali
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È la stessa cosa, per un nativo digitale, nascere e crescere in un ambiente “istruito” o in un ambiente “non istruito”? E se fosse un ambiente “dealfabetizzato”?
È difficile descrivere lo stato del contesto in cui si inserisce l’altrettanto complesso fenomeno dei nativi digitali. Intanto, il contesto. C’è poco da stare allegri con i numerini delle “finte conquiste di Pirro”: nel 2011 c’è stato un incremento di iscritti agli istituti tecnici dello 0,4%. Naturalmente, lo 0,4% è parte di quel 3,4% che è fuggito dai professionali e dai tecnici per andare quasi tutto (il 3%) verso i licei. La Riforma ha modificato in modo strutturale professionali e tecnici limitandosi a “tagli non strutturali nei licei”. Ridimensionare, per esempio, ore di lezione vuol dire rivedere una didattica fallimentare, ma eliminare integralmente ore di laboratorio e personale tecnico significa stravolgere strutturalmente l’impianto formativo. Bene? Male? Ne discuteremo a lungo, ma quel che a me preme mostrare è che è legittimo aspettarsi uno spostamento degli interessi verso i licei (approdo sicuro nella confusione) con una incidentale distrazione verso i tecnici. La luminosità con la quale si fa brillare lo 0,4% serve, ovviamente, alla politica, non alla comprensione. Esclusi alcuni tecnici e professionali eccellenti, la maggior parte di questa tipologia di scuole perde iscritti semplicemente perché non c’è interesse verso la cultura tecnica o meglio in essa non si percepisce alcun vantaggio sociale. Rimane lo storico parcheggio dei licei che nell’immaginario degli adulti resta ancora la speranza di una vita migliore per i nostri figli. Insomma, nell’indecisione, nell’assenza di una “offerta sostenibile”, meglio il liceo.
Eppure, il contesto è più complesso. Ho descritto altrove la struttura dinamica dell’istruzione (A. M. Allega, “Analfabetismo: il punto di non ritorno”, Herald Ed., 2011). Da questa analisi deriva che circa il 70% della popolazione è “non istruita”, mentre il 30% possiede una “istruzione sufficiente”. Risultati confermati da De Mauro in una recente intervista di Piero Angela (Superquark, 7 luglio 2011). Un’analisi darwiniana mostra come il fattore ereditario della popolazione al 70%, in un contesto tecnologicamente avanzato come quello attuale, produce delle sorte di “mutazioni” (indotte e casuali) genetiche – culturali, in un certo senso “orientate”, da produrre nei nativi digitali un facile adattamento all’ambiente socio-tecnico-economico proprio perché “nativi”. È una specie antropologicamente nuova, dice Paolo Ferri, con un nuovo sistema di apprendimento. Si può discutere a lungo se sia migliore o peggiore, ma di certo è un sistema diverso. La nuova specie antropologica si sta diffondendo in modo vorace nel contesto dei “tranquilli adulti”, ancora convinti di rappresentare la specie dominante. Forse è vero. Ma ancora per poco. Infatti, le classificazioni più recenti danno i “nativi digitali puri” con un’età tra i 0 e i 12 anni. Gli attuali dodicenni sono i ragazzi della seconda media inferiore o secondaria di primo grado. Insomma, i ragazzi che stanno completando il primo ciclo e che l’anno successivo si iscriveranno alla prima delle secondaria superiore o di secondo grado. Il fronte d’onda di questo tsunami di nativi è arrivato alle superiori! Mentre questo accade, l’adulto si sta ancora chiedendo come innovare la didattica, come insegnare o fare coaching e insegna a una “specie” con mezzi e linguaggi incomprensibili, perché i nativi sono semplicemente “diversi”. Un’indagine recente mostra che i ragazzi si limitano a fare quel che serve per ottenere una valutazione sufficiente e appagare l’adulto (Istituto “Baffi” di Fiumicino). Gli adulti più estroversi pensano che la formazione dei nativi digitali sia responsabile di una loro dissociazione dalla realtà e dall’affettività (trasferendo il problema su piani psicoterapeutici). Ma questo sarebbe semplicemente un astuto modo di raggirare il problema dell’istruzione (nella sua versione più ampia di Education) che finirebbe con il non affrontare i veri problemi e scaricare le responsabilità di una scuola assente sulle spalle dei nativi digitali (creando un banale corto circuito). Alcuni nativi digitali da me intervistati non la pensano così perché vedono nella fantasia e nella tecnica un importante ausilio per relazioni ricche di equilibrio e affettività, oltre che di stimoli per la ricerca e lo studio. Il problema è decisamente complesso e foriero di sfide molto eccitanti perché è all’origine di quella che potrebbe essere, a mio modo di vedere, una vera innovazione rivoluzionaria: delocalizzare e destrutturare la stantia forma mentis dell’adulto, oramai cristallizzata e anacronistica rispetto all’evoluzione sociale. Infatti, il nativo digitale non nasce e vive in un astratto cyberspazio, ma nasce e vive in un contesto storico-sociale, quel contesto che è stato ricordato sopra. In altre parole, è la stessa cosa, per un nativo digitale, nascere e crescere in un ambiente “istruito” o in un ambiente “non istruito”? E se fosse un ambiente “dealfabetizzato”?
Arturo Marcello Allega